Tutto comincia dalla domanda:

chi sono?

La storia ci insegna che per capire il proprio presente si deve studiare il proprio passato. 120gx120s è solo l’inizio di un percorso, il primo progetto che ci sta portando sulla strada per è approfondire la conoscenza delle nostre origini, definire un manifesto della nostra provenienza, leggere trasversalmente i pensieri delle persone che hanno percorso la nostra stessa strada, che sono cresciute nella nostra stessa atmosfera, immersi nello stesso contesto culturale. Ecco che la necessità diventa quella di trovare una risposta ad un’altra domanda, molto più semplice:

da dove veniamo?

Si tratta di un progetto di ricerca sui protagonisti dell’architettura toscana, personaggi che si sono formati nella nostra regione, vi stanno lavorando, o vi sono legati in modo significativo. Si vuole indagare su quelli che possono essere i tratti identitari, i linguaggi, gli atteggiamenti, le metodologie o gli stilemi che si possono ritrovare nelle opere degli intervistati, delineare le nostre radici per tracciare un piano orizzontale su cui seminare il nostro futuro. Si vuole capire se c’è un sentimento di appartenenza. Si vuole esplicitare quella sensibilità acquisisce inconsciamente crescendo all’interno di un ambiente.

Cinque domande, 120 secondi per rispondere ad ognuna: abbiamo intervistato le maggiori firme di architettura ed ingegneria della Toscana sui temi di Tuscanyness, Paesaggio, Bellezza, Metodo, Fare Architettura.

Le domande sono “false domande”: sono più uno stimolo, una scintilla per iniziare a raccontare il proprio punto di vista sugli argomenti che costituiscono forse le basi stesse dell’Architettura.


Esiste un’identità culturale tra gli architetti toscani? C’è un sentimento che accomuna chi si è formato o lavora nella nostra regione?


Come affronta la responsabilità di progettare  in luoghi con un’identità forte e consolidata nel tempo?


Dove è oggi la bellezza? ha ancora senso parlarne? La storia ci racconta di una appassionante tradizione italiana nel perseguirla. Sente la necessità collettiva di una sua riscoperta?


Da dove comincia il progetto? Esiste un metodo, un atteggiamento, degli stilemi comuni?


In Italia, oggi, cosa vuol dire? Che possibilità hanno i nuovi architetti di lavorare nella penisola ed in che modo?


Seguono i punti salienti, le ricorrenze e le dissonanze delle più di venti interviste – la versione integrale, in video, si trova sul nostro canale YouTube ↗︎ e a piè di questa pagina ↓.

1.

Tuscanyness

Esiste un’identità culturale tra gli architetti toscani? C’è un sentimento che accomuna chi si è formato o lavora nella nostra regione?

Claudio Nardi

Credo che esista a livello dei “geni”, a livello subconscio. Non so se effettivamente se nel nostro linguaggio siamo in grado di far sentire queste tracce. Credo sia una questione di poca profondità; c’è la coscienza di appartenere a questo mondo culturale, ma è molta nozione, e poca percezione interiore; è questo il limite che crea la difficoltà nel creare un racconto che sia contemporaneo e allo stesso tempo toscano.


Salvatore Re

Non riusciamo ad avere una matrice comune: siamo cani sciolti, gli architetti non riescono a far sistema, a raggiungere una massa critica.


Massimo Fiorido

No, direi di no. Non c’è una scuola, il tempo delle scuole è esaurito. E nemmeno un’identità: questo significa trovare delle radici comuni che si manifestano nell’esito dei progetti. Quello che esiste è un’appartenenza ad una terra comune.


Fabrizio Rossi Prodi

C’è sotto traccia nell’opera di molti architetti che lavorano in Toscana, si presenta in modo diverso. Credo ci sia un’origine comune che nasce dalle origini artigiane e legate al mondo religioso dell’architettura nella nostra regione. Non c’è uno stile comune, ma ci sono tratti che sono riconducibili a fattori comuni.


Carlo Nepi

Ritengo di no. Una vera identità culturale non l’ho mai vista: c’è stata una grande attenzione per i materiali, ma non ho mai visto una ricerca che fosse comune.


Augusto Mazzini

Non credo esista un’identità toscana tra gli architetti.


Leonardo Matassoni

Forse a livello epidermico, nel modo di trattare i vuoti. Alcuni architetti hanno elementi in comune, ma non si può certo parlare di una scuola toscana.


Heliopolis 21

Direi sostanzialmente di no. È certo che ci sono alcuni maestri dello scorso secolo che hanno avuto un linguaggio comune, ma questo non determina un linguaggio comune. Forse nel caso del restauro si può trovare un’identità comune, dovuto alla grande scuola fiorentina in questo campo.


Pietro Carlo Pellegrini

Esisteva in passato, nei grandi maestri toscani dello scorso secolo. Forse è rintracciabile al giorno d’oggi per l’uso dei materiali; al di fuori della toscana esiste in Alto Adige o in Sicilia, ma in Toscana questo sentimento non è così presente.


Marco Casamonti

Esiste un’identità culturale generale che è ineliminabile dal progetto di architettura: siamo tutti nati sotto l’ombra della cupola del Brunelleschi, e gli architetti anche non volendo esprimono questo senso di appartenenza alla nostra regione. Il filo comune forse è la capacità di collegare tra loro l’antico ed il moderno, frutto dello spirito umanistico del rinascimentale: è per questo che gli architetti italiani sono richiesti all’estero, per la loro capacità di capire profondamente la storia del luogo e reinterpretarla in modo nuovo.


Paolo Riani

Penso definitivamente si. A Firenze si è sviluppata una scuola organica di architettura che parte da Michelucci e che è stata portata avanti dagli studenti e dai collaboratori dell’architetto.


MDU Architetti

Più che parlare di identità culturale, parlerei di esperienze che i vari architetti hanno avuto. C’è un atteggiamento radicale che spesso ricorre, un modo di mettere in discussione la realtà.


Eutropia

No. Esiste un ambiente culturale formativo entro il quale gli architetti toscani si formano, ma non esiste un’identità dal punto di vista culturale “a tutto tondo”.


Giuseppe Chigiotti

Credo sia vero per le generazioni passate che si sono formate nella facoltà di Firenze con la Scuola Fiorentina, ma credo che si sia persa con le nuove generazioni che si sono formate in tutta Italia.

2.

Paesaggio

Come affronta la responsabilità di progettare  in luoghi con un’identità forte e consolidata nel tempo?

Claudio Nardi

Architettura è natura e viceversa. L’approccio toscano è esso stesso sensibilità, leggerezza nell’approccio con la natura. La Toscana l’interpretazione dei luoghi dell’abitare che si inseriscono senza tempo. È un dialogo con un’altra identità, i luoghi si aspettano parole e non violenze per creare un racconto unitario. La natura vergine è noiosa, mentre in Italia c’è contaminazione e si deve trovare misura giusta nell’affrontare la natura. Il paesaggio è allo stesso tempo risorsa e problema.


Salvatore Re

Vorrebbe essere minimale, approccio in punta di piedi, ma allo stesso tempo non solo conservativo poiché le varie società che si sono succedute nel tempo hanno creato una propria cultura riuscendo a conservare l’esistente.

Non può essere solo conservazione, ci deve essere innovazione con il riuso. Si deve trovare un equilibrio con interventi radicali, riuscendo a preservare cosa ci è stato dato ma lasciando il segno del nostro tempo.


Fabrizio Rossi Prodi

Si devono cercare matrici e regole profonde del paesaggio. Il paesaggio è frutto della stratificazione storica di vicende umane precedenti da leggere, quindi si possono sviluppare o combinare. Lui cerca elementi nella cultura dei materiali.


Massimo Fiorido

Più luogo che paesaggio dato che esso è la dimensione percepita del luogo.

Paesaggio è costruito nel tempo ma è antropizzato, quindi si deve cercare di leggere e intervenire in un luogo che si modifica continuamente, a differenza di quello ottocentesco che è chiuso da una cornice.

Si deve trovare il filo conduttore che contribuisce ad accrescere le qualità del luogo in cui operiamo.


Augusto Mazzini

In architettura c’è il problema del confronto con il contesto: non solo identificazione ma continuità con il contesto.


Carlo Nepi

Nell’ambiente senese è immancabile! Esiste solo una formula ossia umiltà di comprensione e onesta di linguaggio fiero. Sfrontatezza calibrata, dato che non si può costruire in modo mimetico. Non si inventa più nulla ma ci si inserisce all’interno di un flusso di continuità sul quale si fa una variazione minima.


Leonardo Matassoni

L’inserimento ambientale è parola abusata. Si deve approfondire e cogliere lo spirito del luogo che non è solo fisico (materiali colori texture), ci si sposta dal piano fisico a quello psicologico metafisico. Sarebbe meglio vivere nel luogo per cogliere gli elementi suggeriti.


Paolo Riani

L’architetto progetta la controforma della vita, cose, spazi tra le cose, città e territori. L’identità nasce da questo e i luoghi si trasformano a seconda delle comunità che ci vive. L’identità va conservata ma non congelata. I luoghi devono mantenere la vitalità, quindi non si deve avere paura delle modifiche purché le modifiche avvengano nella storia di quel territorio.


Heliopolis 21

È più facile “non fare” per non fare danno e non sbagliare. Si deve intervenire con responsabilità anche perché spesso ci si dimentica che il paesaggio non è sempre stato così. L’ipocrisia italiana per la quale in periferia si può fare cosa ci pare e che porta ai maggiori contrasti tra periferia e centro storico, ma anche tra nord e sud.

Le amministrazioni lasciano troppa libertà in periferia.


MDU Architetti

Non ci si approccia in maniera didascalica, ci sono elementi da leggere spaziali ma anche culturali e economici. Non c’è metodo per la lettura del paesaggio, bensì è una lettura sensibile. L’idea di progetto nasce da cosa suscita il connubio tra l’immaginazione mentale e il paesaggio. L’approccio deve essere artistico.


Sundaymorning

“Per progettare ci vuole cultura” cit. Tavora. Si deve andare oltre il dato fisico, verso la storia, la cultura e la percezione. Prima il paesaggio era in antitesi con la città. Ora tutto è paesaggio, quindi è di fondamentale importanza comprendere profondamente la cosa culturale con cui abbiamo a che fare.


Marco Casamonti

Attraverso due atteggiamenti. Il primo è di assoluto rispetto e umiltà, assoluta compenetrazione e inserimento nel nuovo nelle preesistenze ambientali (E. N. Roger) ( la cantina Antinori è un edificio che non si vede ma che serve per vedere). Il secondo se il paesaggio è debole e non propone immagini, quindi si deve intervenire con forza per sovvertire l’ordine delle cose e creare qualcosa di sublime.

L’architettura tratta di questi due paesaggi.


Eutropia

In Toscana rapporto con l’esistente è un dovere e prerogativa dell’architetto: responsabilità di intervenire in un luogo. La  loro architettura cerca di germogliare in ciò che già c’è, così da ottenere la valorizzazione di entrambe le parti. Se no si semina bellezza in luoghi non interessanti. Se ci si trova a che fare con grande preesistenza, si deve fare la sintesi e togliere qualcosa, progettando in maniera silenziosa.

3.

Bellezza

Dove è oggi la bellezza? ha ancora senso parlarne? La storia ci racconta di una appassionante tradizione italiana nel perseguirla. Sente la necessità collettiva di una sua riscoperta?

Claudio Nardi

Ritengo che sia una delle necessità assolute.

Siamo portati a pensare che l’abitare abbia bisogno di maggiori attenzioni a come si costruisce, alla sostenibilità delle nostre costruzioni; il valore “bellezza” che va assolutamente aggiunto ai valori fondamentali e fondanti dell’Architettura, è al primo posto della definizione di sostenibilità di un edificio.

Un’architettura che non porti con sé e non riproduca i concetti di “bellezza” porta danni ancora maggiori di quelli di un edificio non ecosostenibile. È come se fosse un veleno che piano piano si instilla nelle nostre coscienze, fino a farci scambiare il brutto con il bello, senza accorgercene. Ed è un danno comune a tutte le generazioni.


Salvatore Re

È una parola persa nel tempo. L’abbiamo persa per strada a causa dell’approssimazione, a causa del “famolo strano”.

Ha dei canoni di lettura ben precisi, ha elementi scientifici, ha una sintassi, delle regole.

Non bisogna travisare la bellezza dietro ad un atteggiamento edonistico, personale.

Vorrei ritrovare insieme alla bellezza un altro concetto che si è perso: l’umanesimo. Se torniamo alla sua matrice, alla cultura, alla solidarietà, allora ritroviamo anche la bellezza.

La bellezza è uno dei motivi fondamentali per far star bene le persone.


Massimo Fiorido

È un aspetto fondamentale del nostro lavoro: è il fine specifico dell’Architettura. Non potrei pensare ad un Architetto che non la ricerca: sì, ha senso quindi parlare di bellezza.

Credo che la bellezza sia la giusta dialettica tra etica ed estetica. Nel momento in cui dei contenuti delle premesse, delle istanze di una collettività e di un’epoca vengono correttamente espresse, estetizzate, quando insomma si ha una dialettica feconda, siamo in uno stato dove raggiungiamo la bellezza.


Fabrizio Rossi Prodi

È morta. Dal ‘600-700 è nato il moderno con la morte della bellezza: l’arte di questo periodo è concettuale, e noi siamo in questo solco; forse la bellezza di per sé non è un fatto fondamentale, è più facile durante il progetto inseguire la verità, un metodo, una ratio.

Non riesco a negare che nei momenti del progetto in cui viene fuori una forma, una figura particolare, si prova un fremito: abbiamo trovato la bellezza. È quasi un elemento erotico, e questo diventa un elemento conduttore, che dà pace, soddisfazione.

Seppur negandola dal punto di vista concettuale o del metodo, c’è comunque un filo conduttore che sta in uno stato di grazia: qualcuno di noi ha la grazia, la riscopre, la rivede in qualche progetto.


Carlo Nepi

Rischia di essere un’altra parola che si trasforma in un luogo comune, ma è certamente una necessità.

Credo che la bellezza esistente debba essere mantenuta, ma il nostro compito è quella di portarla là dove non è mai arrivata.

Stiamo facendo una “mappatura dell’arte contemporanea a Siena”, una schedatura degli edifici dal dopoguerra ad oggi per capire che anche in questi edificazioni esiste una bellezza: e come tutti i linguaggi, va capito il codice per poter giudicare di che cosa si parla.


Augusto Mazzini

La bellezza nel caso dell’Architettura è un aspetto fondamentale ma complesso: non riguardo solo l’estetica, solo le forme. È continuità con il contesto, è espressività, è alzare il livello di qualità.


Leonardo Matassoni

È ritenuta superflua, ed è un errore grave. In un momento di crisi come questo tende a prevalere la mentalità del “contabile”, che produce un’abbandono, una perdita di sensibilità. Il politico dovrebbe essere colui che promuove la bellezza, già dell’edilizia scolastica ad esempio.


Sundaymorning

Il concetto di bellezza per l’Architetto deve essere legato all’esperienza dell’abitare. Il fine ultimo è un’esperienza totalizzante e completa, un’esperienza estetica dell’abitare. “Poeticamente abita l’uomo” per dire che l’esperienza estetica è alla base dell’abitare.

Ma l’abitare non è solo solo pura estetica, deve tenere conto di problemi più vasti; nella nostra società il problema maggiore è quella dell’educazione all’abitare, che è assente.

Se non si creano nuovamente le condizioni per le quali la società impari nuovamente ad apprezzare l’esperienza dell’abitare, l’obbiettivo di realizzare la compiutezza dell’esperienza estetica non può essere perseguito. E sta anche a noi progettisti questo compito, educare.


Heliopolis 21

Lo assimiliamo al concetto di qualità: quando riteniamo che un’opera sia bella è perché questa ha una qualità, anche legata alla manutenzione. È l’esempio delle periferie, che vengono abbandonate, non finite, anche se il progetto iniziale è di qualità.


Pietro Carlo Pellegrini

Chi vive in un luogo bello sta bene. È educazione, felicità, voglia di fare. Mi fa pensare alle scuole: con belle scuole gli studenti riescono a imparare meglio, a fare meglio le loro cose.

Pensiamo a quello che è successo negli anni ’70: le architetture di questo periodo hanno reso i loro abitanti scontenti nonostante fossero realizzate da grandi architetti, che non credo quindi abbiano vinto. Sono state espressioni di una filosofia, di un metodo per raccontare una nuova architettura che però non ha reso felici gli utenti finali.


Marco Casamonti

È un termine che muta nel tempo. Non esiste una bellezza tout-court, inossidabile rispetto allo spazio e rispetto al tempo. Spazio e tempo sono due termini fondamentali per l’architettura: il concetto di bellezza si sposta nello spazio — geograficamente a seconda dei contesti culturali — e nel tempo a seconda delle epoche; ciò che noi riteniamo bello vale nel momento in cui e nello spazio in cui lo affermi, in relazione al contesto culturale e sociale in cui ci si trova.

Quando si ricerca la bellezza, l’armonia, il rispetto, l’integrazione in coerenza con tempo e spazio, questi valori diventano permanenti. Dobbiamo essere coerenti alle condizioni del presente quando andiamo a modificare il territorio; pensando al bagaglio culturale del passato, costruiamo oggi per far vivere le persone nel domani.

Non è possibile vivere di nostalgia e nell’oblio né nella speranza che ci sarà una bellezza futura: noi viviamo nel presente, ed il presente ed un punto in movimento. Il presente si sposta: ma allora come si coglie un punto in movimento? È un concetto matematico, bisogna definirne un intorno. Dobbiamo muoverci dietro ed avanti, fino a che non si coglie quel punto che è il presente.

Noi lavoriamo per il presente, e la bellezza è nel presente, ma per coglierla dobbiamo continuamente spostarci indietro e in avanti, fino a cogliere l’essenza dell’oggi.

In termini pragmatici, la ricchezza produce ricchezza: questa è una cosa che dovremmo insegnare ai nostri politici ed agli investitori. Investire nella bellezza significa investire nelle generazioni future.


Roberto Pasqualetti

Penso sia insita in ognuno di noi. Così come ognuno di noi fa parte dell’universo, così l’universo è la bellezza per antonomasia, quindi ognuno di noi è portatore di bellezza.


Paolo Riani

È una di quelle parole magiche, stregate, che soltanto a pronunciarla sparisce. Abbiamo perso la capacità di riconoscere la bellezza; è fatta di armonia, etica, amore, nella bellezza c’è tutto. Il modo di recuperare questa capacità è di capire ciò che ci accade intorno, ed è solo con il recupero della bellezza che si ottiene la nostra salvezza.


MDU Architetti

La bellezza è funzionale ad un buon progetto, ed è funzionale al funzionamento del progetto. Se non c’è un certo filo rosso che riconduce il progetto all’idea iniziale, se non è coerente a questa, il progetto perde di forza.


Eutropia

È legata ad una moda, ad un momento: l’architettura invece dovrebbe essere senza tempo. L’utilizzo onesto dei materiali e della tecnologia in qualche modo sia più coerente con l’idea di bellezza. Se alla fine di un progetto riesci a guardarlo negli occhi e sentirti onesto, allora il percorso che si è concluso può essere chiamato bello.


Giuseppe Chigiotti

È fondamentale! Se non si insegue la bellezza, cosa si insegue? La ricchezza?

Nel battistero di Firenze c’è il segreto dell’architettura: è un edificio romanico che recupera i linguaggi dell’architettura romana. E il Brunelleschi quando ha fatto l’Ospedale degli Innocenti ha guardato quello: lì sta la continuità e il guardare l’Architettura e la Storia.

I canoni cambiano, e la bellezza non ha sempre i soliti canoni.

4.

Metodo

Da dove comincia il progetto? Esiste un metodo, un atteggiamento, degli stilemi comuni?

Sundaymorning

Atto del progettare non è un atto rettilineo con un inizio e una fine. Continui ripensamenti. Un mettersi continuamente in discussione senza fine. Il termine progetto è dato da fattori contingenti. Porsi nell’ambito di quanto si è detto. La circostanza, in questo momento di frammentazione della storia, la circostanza riveste un ruolo fondamentale.
Esistono elementi fondamentali, quello del confronto, la continua verifica delle soluzioni progettuali, riconducibile a tutte le progettazioni che abbiamo affrontato. Intraprendere un percorso e cercare un controllo e una verifica dei risultati. Avviene attraverso un disegno, fisico o virtuale, la maniera di indagare il progetto sia attraverso la trasmissione di un supporto visivo dell’idea di progetto.


Marco Casamonti

Esiste un metodo, certamente. Il progetto è una disciplina creativa, che si fonda in dei canoni e in alcune metodologie. Gli antichi scrivevono i trattati che sono metodologie per raggiungere l’eccellenza. Gli ordini sono i canoni riconosciuti della bellezza. Il rinascimento nasce dallo stabilire le regole. L’architettura pur non essendo una scienza esatta, con risultati variabili, ma ha il suo metodo i suoi codici e le sue regole. Si gioca su queste regole lo scontro tra tradizione e modernità, vedi i cinque punti, cosa sono se non una critica al passato? Esiste certamente un metodo o più metodi, su cui si scrive tanto la storia classica che quella moderna.
Nella contemporaneità ognuno può costruirsi  anche un suo metodo, ma di fatto, è la coerenza rispetto alle ipotesi che stabilisce la certezza del risultato, ovverosia del risultato incerto. Risolvere un’equazione dove 1+1+1+1 fa sempre 1…


MDU Architetti

Ci sono una serie di riferimenti alla quale noi teniamo, ma non saprei se definirlo metodo. Sono riferimenti molto eterogenei. Abbiamo un metodo schizzofrenico con battute di arresto tremende, e poi riparte da solo. I ragazzi che vengono a fare esperienze si trovano un po’ spiazzati di fronte a questo non metodo. Il progetto nasce anche per stimoli esterni, magari prima di andare a letto incontri qualcuno, immagini qualcosa, che può far fare un salto a progetto che può far fare un salto al progetto. C’è chi prepara plastici, e ti avvicini alla soluzione. Ogni studio ha il suo metodo, è un’alchimia complessa, ma noi non avendo un metodo il progetto procede per salti, battute d’arresto improvvise, a volte un contesto ci suggestiona talmente tanto che il progetto prende una direzione. A volte un contesto che non ci dà le stesse suggestioni ci ispira una metodologia più complessa e procediamo più per tentativi.


Pietro Carlo Pellegrini

L’architettura non è uno stile. Ci sono degli architetti che hanno uno stile, che ogni lavoro che fanno è riconoscibile, e può essere un desiderio. A me interessa che ci sia un filo logico, un filo di Arianna, ma ogni lavoro deve essere personale, diverso dall’altro, ci deve essere un approccio che ti viene raccontato dal luogo dove intervieni, dai materiali che percepisci, dalle sensazioni, dai ricordi, dalle persone che ci vanno a vivere. Credo in un certo eclettismo, un’architettura che riesci a integrarla anche attraverso le maestranze. L’architettura è anche un rapporto con chi poi va a fare il tuo progetto, le maestranze che lo realizzeranno. Il metodo deve essere un po’ anche istintivo, una voglia di soppesare la composizione, sono ricordi che ti porti da sempre e che vanno miscelati con le persone che incontri e con chi lavori.


Salvatore Re

Esiste un metodo che ha una sintassi ben precisa e delle regole ben precise. Il metodo è la capacità di andare a realizzare determinate azioni cercando di fallare il meno possibile. Non ci sarà un’azione mirata ed efficacie, senza una corretta analisi della realtà. Quando ti imponi di seguire un percorso, e quindi il metodo, con la disciplina e col sacrificio, sarà più facile perseguire l’obiettivo.


Fabrizio Rossi Prodi

Il metodo esiste nella nostra tradizione e formazione. Di Vitruvio abbiamo trovato i testi ma non i disegni, ed è iniziata una fase di riflessione letteraria e teorica dell’architettura, abbiamo sempre bisogno di un pretesto letterario, razionale, partendo da un testo scritto ipotizzare quali sono i disegni. C’è un substrato teorico, razionale, ovviamente provvisorio perché non c’è niente di meno scientificamente metodologico dell architettura. Abbiamo sempre bisogno di questo pre-testo, per fare architettura. Questa visione che ha attraversato i secoli si rafforza nel razionalismo, che è il momento della ragione per eccellenza. Il mio è un lavoro razionalista rivisto, un lavoro motivato, comunicabile e  trasmissibile, deve essere raccontato con le parole pur trattandosi di scelte formali id spazi di volumi paesaggi relazioni con le persone ma sempre raccontabile. Due parole, locus e caracter: locus è area, contesto, paesaggio, relazioni con l’intorno, caracter è l’espressione del carattere profondo dell’istituzione che si va a creare e del modo in cui si racconta alle persone e a chi la abita, un legame sentimentale che coinvolge le persone che poi la vanno ad abitare. Il progetto è una scansione continua su tutti questi aspetti.

5.

Fare Architettura

…in Italia oggi, cosa vuol dire? Che possibilità hanno i nuovi architetti di lavorare nella penisola ed in che modo?

Claudio Nardi

In Italia oggi ci sono più opportunià, la consapevolezza che si deve costruire sul costruito, abbiamo pensato a demolire per ricostruire, io sono affezionato alla parola RI-ARCHITETTURA, fare architettura utilizzando ingredienti che facevano parte di altre ricette. Se riusciamo a farlo diventare un plus come architetti italiani, allora il mondo è nostro.


Eutropia

Bisogna scoprire il mondo del lavoro imparando da chi ne sa più di noi. La cosa più importane è stato capire cosa non volevo fare, studi tecnici, e scoprire quanto è vasta la professione dell’architetto. Non esiste il progettista solo al comando. Esistono molte specializzazioni viste come opportunità. Il suggerimento principale è guardare il mondo del lavoro e capire la propria inclinazione. Scegliersi un buon maestro, funziona come nella bottega.


Sundaymorning

Il momento storico è il più difficile per gli architetti. Abbiamo un problema culturale, in cui si è smarrita la consapevolezza dell’abitare, gli obiettivi e i mezzi per realizzare un paesaggio culturale. Abbiamo il dovere di non abbandonare la dimensione etica del nostro lavoro.


Marco Casamonti

Lavorando sulle modificazioni. Una società è viva per quanto ha la capacità di modificarsi e di spostarsi. L’Italia come territorio impone grandi responsabilità. Abbiamo costruito molto e molto male. La responsabilità è pensare che dobbiamo smettere di costruire. Dobbiamo smettere di consumare suolo, ma costruire sul costruito, magari naturalizzando i suoli. Un tempo si costruiva sapendo che era un investimento a lungo termine. Non abbiamo prospettiva, dobbiamo consuma


MDU Architetti

Oggi è difficilissimo. Ora lavorare è in generale difficilissimo, bisogna essere dei supereroi. Dobbiamo prima vincere le perplessità e il retaggio dell’architettura contemporanea, e dopo fare un progetto all’altezza. Bisogna poter riconoscere la qualità dell’architettura realizzata.


Pietro Carlo Pellegrini

L’architettura è sempre stata un mestiere difficile. Nel dopoguerra c’è stato un buon investimento; dopodiché ci sono stati gli speculatori: ma è importante che l’architetto rimanga  sempre democratico e corretto.

La crisi attuale è stata anche un fatto positivo. Eravamo ubriachi di consumismo, grazie alla crisi abbiamo fatto nuove riflessioni, bisogna essere più semplici, meno costi, più certezze, meno voli pindarici.


Salvatore Re

Fare architettura in Italia è un sacrificio, una missione. Il bel paese non ci vuole bene. L’Italia non ha fatto sistema. Ha sempre dominato l’inciucio e il malaffare. L’architettura si porta dietro un apparato economico non indifferente. Noi dobbiamo riscoprire l’architettura in Italia. I giovani devono riappropriarsi della cultura.


Fabrizio Rossi Prodi

Fare architettura oggi è un compito da supereroi ed è diventato un mestiere poverissimo. È difficile inventare delle cose e realizzarle. Per i nuovi architetti poi, è ancora più difficile; per fortuna ci sono un po’ più di concorsi, che sono un buon modo per selezionare buone idee.


Augusto Mazzini

Il panorama non è stimolante, è tutto un po’ fermo. Bisogna andare fuori, stare qui è inconcludente. Dobbiamo renderci conto dei limiti in cui lavoriamo, ma deve esserci spazio per la massima qualità possibile


Carlo Nepi

Fare architettura in Italia oggi significa non fare nulla. Non si lavora. Siamo nel punto più basso di popolarità sociale. Siamo di fronte a una specie di olocausto culturale. I giovani progettisti o vanno fuori o non hanno possibilità di lavorare. La burocrazia è fuori da ogni razionalità, vi è un eccesso di legislazione e normative.


Massimo Fiorido

Fare architettura oggi è un atto eroico. Sia per la mia generazione, sia per quelle più giovani. È una forma di resistenza rispetto a un sistema che sembra costruito per rendere difficile svolgere la professione. Non è agevolata la cultura del progetto. Norme che assorbono una quantità enorme di energia, che invece andrebbe orientata nella qulità del progetto. Far quadrare i conti non è facile.


Leonardo Matassoni

Ora va di moda chi cavalca l’onda del volume 0. Il politico e chi fa parte del mondo culturale dovrebbe avere però l’intelligenza di staccarsi dal sentire comune. Si rischia di perdere l’apporto culturale di un’intera generazione.

Sembra che non si possa fare e fare bene. Ci vuole il coraggio di cambiare la strada.


Paolo Riani

Il ruolo etico e professionale dell’architetto si è perso. Fare architettura è anche una questione sociale.


Heliopolis 21

Fare oggi architettura è una disgrazia. Noi costituiamo una resistenza. È un po’ una missione nonostante norme, burocrazia e regolamenti.


Roberto Pasqualetti

C’è un enorme lavoro da fare, un recupero straordinario. Siamo indietro economicamente e politicamente. Dobbiamo essere più considerati. Vanno rottamati gli architetti vecchi. C’è tantissimo lavoro da fare.

Le interviste

Tuscanyness — il film