Vogliamo sapere com’è cambiata la professione dell’architetto, dal tempo antico — diciamo, per limitare il campo, dai grandi architetti del Rinascimento, Bramante e Brunelleschi per esempio — a oggi…

È difficile tracciare lo sviluppo della figura dell’architetto durante tutta la storia. Dall’antica Grecia si sono tramandati vari nomi: Ippodamo di Mileto, Fidia, … Figure a cui è possibile più associare una “scuola”, una firma, piuttosto che una vera professionalità. La vera rivoluzione, a mio parere, si ha a Firenze, nella nostra Toscana, durante il Rinascimento. Brunelleschi costruisce la cupola del duomo, e non lo fa soltanto disegnando, ma coordina le maestranze, partecipa agli intrighi sul cantiere e fuori dal cantiere: è un archistar ante-litteram, sempre nel mezzo. Fino alla fine del medioevo, se pur è possibile ricondurci ad alcuni nomi, l’architettura e la sua costruzione avvenivano tramite il ripetersi della tradizione attraverso le maestranze di scalpellini, muratori, artisti, che si affaccendavano nell’opera di turno, cercando di farla bella e grandiosa sotto l’egida del signore, prelato o laico che fosse. Brunelleschi rilancia il concetto di firma e di invenzione e di ingegno, portando l’architettura a un concetto di autorialità prima sconosciuto.

Nello stesso periodo rinasce inoltre la figura dell’urbanistica, a Ferrara, con Biagio Rossetti e l’addizione Erculea, voluta dal Duca Ercole I d’Este. Questa forma di urbanistica con un progetto organico fa di Ferrara, secondo Bruno Zevi, la prima città Moderna. Viene anche costruita Palmanova nel tardo XVI secolo, una città con scopo strategico difensivo di controllo territoriale. Con questa stessa ottica di modernizzazione, rifunzionalizzazione e asservimento all’utilità dell’assetto viario nell’Ottocento avranno fortuna vari urbanisti come Haussmann a Parigi, i pianificatori della Ringstrasse viennese, il Plan Cerdà barcellonese e l’espansione di Torino.

Piano piano la figura del costruttore/architetto comincia a specializzarsi e a diventare tecnica, necessitando di formazione apposita. Nell’Ottocento nascono le prime scuole di ingegneria, dove abbiamo una nuova scissione fra la tecnica e l’arte, con la nascita della figura dell’ingegnere.

Si può notare adesso come via via che è aumentata la conoscenza umana e innovata la tecnica costruttiva, si sono specializzate sempre più figure, distaccandosi dall’architetto “progettista” tout court. È difficile quindi capire quale sia la professione dell’architetto oggi. Fra i miei colleghi conosco progettisti, artisti, urbanisti, disegnatori specialisti nell’uso del computer, capi commessa per imprese edili, responsabili alla sicurezza nei cantieri, grafici, fotografi e programmatori di macchine fantascientifiche che un giorno costruiranno case con i bachi da seta. Una cosa di cui sono sicuro però è la vocazione che ci accompagna: quella di rendere il futuro un posto migliore dove vivere.

 

Casa Batlló, Barcellona. Foto: Theodor Vasile su Unsplash.

 

Consideriamo molti architetti del passato più nel loro aspetto artistico (Bramante stesso, architetti barocchi come Juvara, poi Gaudì…) Qual è il rapporto oggi tra arte e architettura? L’architetto del XXI secolo è più ingegnere o più artista?

Ingegneria e Arte sono collegate in modo affascinante. La statuaria lapidea necessita di supporti fisici per poter stare in piedi senza crollare sotto il proprio peso. Allo stesso tempo non si ammirano i calcoli dietro la torre Eiffel, quanto più la sua altezza e la sua forma così iconica. Io, per esempio, ammiro molto Gaudì per l’ingegno delle strutture della Sagrada Familia più che per le forme esuberanti di Casa Batllò.

Volendo cercare di capire il rapporto fra l’arte e l’architettura sono possibili molteplici risposte. Secondo il mio modesto parere l’architettura e l’arte differiscono per come si relazionano con l’uomo. L’arte fa dell’uomo che la vive uno spettatore; la seconda è invece spettatrice e ausiliatrice delle vicende umane. Spiegandomi tramite esempi, la casa Battlò è oggi una stupenda opera d’arte: un museo di quanto potesse essere eclettico lo spirito di Gaudì, e merita di essere visitata proprio per questo motivo, per un paio di foto per Instagram. Seppur altrettanto fotografato, l’abside della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano, disegnata da Bramante per Gian Galeazzo Sforza, è architettura: tramite la sua perfezione prospettica dilata lo spazio in cui viene celebrata la messa, mettendo l’uomo al centro del suo rapporto con il divino.

 

Navata centrale e finto coro del Bramante nella Chiesa di Santa Maria presso San Satiro. Via Wikipedia.

 

“Dal di fuori”, noi profani potremmo dire che nell’ultimo secolo sono cambiati i materiali e le tecnologie: dal cemento armato, a tanti nuovi materiali di sintesi… e certamente nuovi strumenti per il disegno. Credo che oggi nessun architetto disegni ancora a mano, sul grande tavolone da disegno. Ormai siamo abituati alle immagini computerizzate e ai rendering. Ma certo il cambiamento non è solo questo. Come è cambiata la funzione dell’architetto, il suo rapporto con lo spazio urbano?

L’architetto si sta evolvendo sempre di più per non essere più solo progettista dello spazio urbano, ma interprete. I nostri strumenti si sono affinati, grazie alla nostra storia e alla nostra cultura, a codificare le regole compositive, stilistiche, ma in primis sociali che governano la città.

Sempre di più gli architetti stanno piano piano diventando dei “direttori d’orchestra”, capaci di convogliare in un’opera complessa tante figure con ruoli diversi: i cittadini, la municipalità, i privati, le associazioni, i costruttori, gli artisti e gli altri specialisti. In questo senso è necessario al professionista saper leggere delle dinamiche relazionali fra il fisico materico del costruito, il fisico emozionale della cittadinanza e il fisico economico degli operatori economici, per poter intervenire al meglio nel tessuto urbano. Così negli ultimi anni hanno fatto capolino molti esperimenti di urbanismo tattico, disciplina che va a creare degli interventi urbani su piccola scala capaci di migliorare le condizioni di vita sociale (e quindi di benessere) delle persone che abitano la città.

 

120g, l’associazione culturale che hai fondato insieme a compagni di corso, divenuti poi colleghi. Il sito offre una visione molto ampia su quali siano oggi le frontiere in architettura, e cose si muova nel campo della ricerca. Puoi accennare a qualche tema, per incuriosire i lettori?

Un tema sicuramente importante su cui ci stiamo muovendo è quello dell’urbanismo tattico, tramite un filone chiamato “Architettura Bottom-up”, che vede la creazione di laboratori per studenti volti a proporre progetti per aree dismesse, abbandonate e dimenticate della città, in collaborazione con le realtà locali e gli enti.

Poi stiamo indagando sulla materia del “confine”, paragonandolo al sistema umano della pelle, che ci protegge dalle intemperie, ma può essere allo stesso tempo fonte di dolore o organo permeabile al mondo esterno.

L’interesse principale di 120g rimane comunque il rapporto fra le varie discipline artistiche: tramite il nostro format “120g Dossier” abbiamo propugnato al pubblico il tema del restauro, quello della robotica nella costruzione e ora sono in sviluppo 3 numeri sulla fotografia di architettura, sul concetto di limite e di integrazione e sull’architettura artigiana, ovvero quella piccola e domestica, realizzata con qualità e tradizione dalle maestranze.

Altro filone di ricerca è stato il rapporto con la nostra regione e la cultura locale, tramite il documentario Tuscanyness.

 

Tuscanyness è un documentario di qualche anno fa, e parla di noi, della Toscana, e di quale può essere oggi il ruolo dell’architettura nella nostra regione, così ricca di opere e di paesaggio… qualche parola su questo?

Tuscanyness è stato il nostro progetto più lungo. Durato 3 anni ha visto la partecipazione di oltre 20 architetti, intervistati nel format “120g x 120s” visibile su Youtube cercando “120g”. A seguito delle questioni sollevate dai loro interventi sui temi dell’identità, paesaggio, bellezza, metodo e fare architettura abbiamo capito che non avevamo capito e abbiamo deciso di approfondire la questione avviando una ricerca che ci ha portato a percorrere le migliaia di chilometri di strade toscane verso Siena, Firenze, Pisa, Pistoia, la Val d’Orcia, Pienza, il Chianti e la Maremma. Abbiamo raccolto tutto questo in un documentario e lo abbiamo trasmesso al cinema Arsenale di Pisa, poi a La Compagnia di Firenze, e siamo stati selezionati per i festival di architettura di Lisbona, Copenaghen e Istanbul, dove abbiamo proiettato in aule gremite di architetti e studiosi. È stato un bel percorso, molto soddisfacente e impegnativo, con l’intento di raccontare quanto sia importante la nostra cultura nel nostro modo di vedere e percepire l’architettura del futuro e il nostro modo di essere architetti.


Pubblicato su “L’Araldo di Volterra”, ottobre 2020.