Dal belvedere di Rua da Vitoria, trecento metri a sud del museo della fotografia che si affaccia sulla piazza dei Martiri della Patria, si gode di una vista magnifica, inaspettata e totale sulla città di Porto. Se ne percepisce l’orografia movimentata, l’inquietudine del corso del fiume che sale e scende di quasi tre metri durante il giorno a causa della marea, l’aria vibra guardando verso sud, verso le decine di aziende produttrici del vino liquoroso che prende il nome dalla città. Sedendosi sulla panchina dissestata all’ombra di uno striminzito ligustro si può pensare di essere davanti ad un pianoforte i cui tasti sono i tetti sconnessi e vermigli: se è vero che non ce n’è uno uguale al suo vicino, quando suonati, i tasti, sono tutti perfettamente intonati; dal do al do, di scala in scala, senza esitazione.
Tra tutti questi tasti ce n’è uno recentemente restaurato che suona non meglio né peggio degli altri. È nuovo nel suo aspetto, di raffinata fattura, ma non compete né spicca; in effetti è come se ci fosse sempre stato, le sue radici antiche.
Fernando Távora, tra il 1995 ed il 2003, si approcciò al restauro delle vecchie rovine della Casa dei Ventiquattro che fu sede diversi secoli fa del Consiglio della Città e delle Corporazioni. In totale stato di rovina, la Casa dos Vinte e Quatro prima dell’intervento dell’architetto non era che un ammasso di pietre sbozzate confuse con il resto del terrapieno sul quale poggia la Cattedrale, ombra dissestata della torre di cento palmi di altezza che fu un tempo.
Proprio da questa misura simbolica Távora prende spunto, ripristinando l’ingombro, la massa dell’edificio, adagiandosi con una sensibilità caratteristica del Maestro sulle fondamenta sopravvissute e disegnando un corpo a ‘U’, chiuso per tre lati verso il sagrato e verso il Sé, e aperto a tutt’altezza verso la città a ovest.
La loro prossimità è quasi elettrica per il forte significato simbolico ed evocativo dell’antica gloria di Oporto; il dualismo tra il potere laico e quello religioso si risolve, nell’opera di Távora, con uno spiccato ermetismo, una solennità silente e rispettosa non meno dignitosa dell’imponente fabbrica che l’affianca. Organizzato su due piani collegati da un’esile scalinata che porta dal piano della piazza a quello inferiore che dà sulla rua Pena Ventosa, l’interno funziona da cassa di risonanza, si espande ed espande la spettacolare vista sulla città, che incorniciata da cento palmi di una facciata in vetro, sembra rivelare da questo punto di vista privilegiato segreti ed atmosfere oramai persi nel tempo.