I cicli tecnologici guidano l’economia e le rivoluzioni, basti pensare alle conseguenze suscitate dall’invenzione della macchina a vapore. Attualmente stiamo assistendo al ciclo della “tecnologia dell’informazione” (Information Technology), che ha rapidamente portato ad una rivoluzione digitale tramite la computazione delle informazioni ovvero la loro trasformazione in dati.

Già nel 2010 Neil Gershenfeld in “How to make almost anything” annunciava la rivoluzione dei makers che, contrapponendosi alla produzione di massa, si basava sulla condivisione dei dati e sull’utilizzo di tecniche di fabbricazione digitale per produrre “quasi ogni cosa”. Il motto del (non) mercato open-source è “think globally, fabricate locally”. Nel tentativo di avviare un circolo virtuoso di democratizzazione della produzione, questo processo ha favorito la proliferazione di nuove invenzioni, sia dal punto di vista degli strumenti (nuovi tipi di scanner, stampanti, robot) che dal punto di vista dei materiali (materiali funzionalmente graduati, bio-materiali, materiali adattivi).

Il mondo dell’architettura si è contemporaneamente evoluto verso la computazione: l’informatizzazione delle caratteristiche dei materiali, delle strutture, delle esigenze di progetto e dei canoni estetici, è diventata parte integrante della progettazione, permettendo di investigare molteplici soluzioni e di ottimizzare determinati parametri (non solo strutturali ma anche produttivi). Attingendo alle tecniche di fabbricazione digitale l’architettura si è riappropriata dell’intero processo costruttivo: il progettista è tornato ad essere una figura molto vicina all’artigiano, costruendosi un proprio know-how omnicomprensivo di scienza dei materiali, algoritmi generativi, software per la modellazione e ottimizzazione, tecniche costruttive, macchine e strumenti per la fabbricazione.

Tuttavia, in Italia questa rivoluzione in campo architettonico non è ancora stata processata dall’edilizia e dalla formazione universitaria.

La produzione scientifica rimane ad un livello sperimentale, di ricerca, e nel frattempo le tecnologie evolvono rapidamente. Sono pochi gli istituti in cui si è deciso di dare ampio spazio alla fabbricazione digitale e al design computazionale, da una parte per i costi e la formazione continua che richiedono, dall’altra perché ancora non abbiamo familiarità con questi strumenti e non sappiamo come porci nell’interazione uomo-macchina.

Si può dire che sia successa la stessa cosa con l’utilizzo di software parametrici: era difficile determinare il ruolo del programma rispetto al ruolo del progettista che lo utilizzava e probabilmente si è avuta la stessa reazione con l’avvento del CAD. Disegnare al computer significava perdere una caratteristica fondamentale del buon architetto, quella di disegnare a mano libera. La ricezione da parte dei professionisti dell’architettura è quindi ancora lenta e travolta da continui dubbi e dall’incertezza di una tecnologia in continua mutazione verso livelli sempre maggiori di automazione.