Definire Roberto Mariani un architetto toscano, ricercandone i tratti e le forme espressive, condurrebbe, secondo percorsi incerti, verso un puro artificio letterario. Di fatto non è possibile parlare dell’Architettura Toscana come di una realtà omogenea, in quanto questa terra ha fatto dei suoi particolarismi un motore di espressioni culturali plurali e un motivo di vanto. Ciò che, invece, è certo, risulta essere il perimetro fisico entro il quale Mariani si muove, quello del territorio Pisano, dove è nato, cresciuto, vi ha lavorato attingendo dal suo immaginario culturale e lo ha modificato nel corso della sua attività professionale.

Più che di tratti lessicali, sarebbe preferibile parlare, dunque, di atteggiamento e aspirazioni. L’operato di Mariani è caratterizzato da una forte consapevolezza storica, che gli permette di leggere il luogo come una stratificazione di gesti, dove il progetto è concepito come una voce nuova che debba inserirsi, con armonia e rispetto, in un coro precostituito. Secondo questo principio il processo di modificazione del territorio avviene all’interno della cultura dello stesso territorio pisano e con elementi derivati direttamente da questo, compiendo un’Architettura che si innesta con familiarità all’interno dei tessuti antropizzati. La specifica sensibilità nativa posseduta dall’architetto, generata dal luogo, maturata in quel luogo, è chiamata, attraverso nuove interpretazioni, ad intervenire sulle proprie radici.

Questo atteggiamento con cui Mariani contribuisce all’evoluzione della città si inserisce nell’ottica di una visione squisitamente toscana: l’amore per il borgo natio lo porta a concepire il paesaggio urbano come se fosse imbevuto di intelligenza umana sedimentata nel tempo, uno spessore storico fatto di costumi e tradizioni che solo chi vi ha vissuto personalmente può cono- scere a fondo. Si evince una volontà di recuperare la qualità dello spazio urbano, un obiettivo perseguito con costanza in ogni atto costruttivo, che, non rappresentando più un gesto svolto esclusivamente per un particolare momento storico, si rivolge anche alle generazioni a venire, con una prospettiva intesa non solo come generatrice di spazi, ma come lungimiranza civile, un atteggiamento che vede in ogni cittadina toscana il riflesso di un senso civico paragonabilea quello dell’antica Atene, con cui si condivide l’obiettivo più alto, chiaro in mente, di far collimare la bellezza privata con quella civile, quella personale, intima, con quella sociale, quello di mettere al centro della progettazione l’uomo e i bisogni della sua comunità. Sebbene la condizione al contorno fisica all’interno della quale Mariani progetta sia prevalentemente quello del territorio pisano, la cornice mentale entro cui opera è quella, internazionale, dell’eredità del Movimento Moderno. Infatti l’architetto pisano è stato capace di innescare quel metodo coniato da Alberti e Brunelleschi, per cui, indagando sulle vicende del passato, se ne tragga un insegnamento da proporre ai contemporanei, contestualizzato con le spinte formali e le soluzioni tecniche del proprio tempo. Questa lettura storica non evoca codici o stili, ma condiziona nel profondo la costruzione dello spazio: nell’inclinazione progettuale di Mariani sono memorizzate per esperienza le cadenze del romanico pisano, il suo dolce rigore volumetrico, la chiarezza delle sue luci e l’evocativa secchezza del disegno, ma il suo iter progettuale dimostra come l’architetto abbia oltrepassato le vicende contraddittorie del Postmoderno senza rimanerne ammorbato. La produzione architettonica di Mariani è andata riscoprendo la propria dimensione tattile, depurandosi dalla sovrabbondanza degli ornamenti e caratterizzandosi per una sintesi del linguaggio segnico, un fatto che sigla soprattutto il superamento dell’eclettismo italiano: i pilastri non sono soltanto citazioni metafisiche di lesene o paraste, ma sono parte della spina dorsale dell’edificio, la modanatura, invece, non è più decorazione, bensì è reinterpretata come un episodio insito nella struttura geometrica del materiale costruttivo e ottenuta attraverso una sua variazione di orditura o una discontinuità nella sua ripetizione, come ad esempio nelle due situazioni che si concentrano negli estremi dell’edificio, il basamento e l’attacco al cielo, due temi cardine di Mariani, spesso risolti con la stessa soluzione, come una firma d’autore.

 

 

La sua interpretazione dell’intervento contemporaneo si configura quindi come una sintesi della dicotomia tra mimesi e volontà espressiva, che si svolge soprattutto nella scelta di realizzare i dettagli come fatto manuale, quindi artigianale, che aspira ad una sorta di continuità con il contesto costruito per qualità. Risulta ricorrente il tema del muro, inteso sia come concetto che come fatto costruttivo, che, con la sua tessitura costante, circoscrive un perimetro all’interno del quale la geometria diventa la ragione d’ordine. Il muro, dunque, concepito come archetipo, è generatore d’Architettura. Ecco che le volumetrie delle opere di Mariani si delineano come quelle platoniche dell’Architettura romana, dove le masse sono distinte ma legate dallo stesso materiale, e dall’esterno hanno la funzione di trasmettere l’importanza dello spessore murario degli edifici in pietra. Le geometrie pure sono strutture spaziali dove i toscani si sono sempre riconosciuti, e Mariani riesce a sposarvi anche le pulsioni direttrici della contemporaneità. Che si tratti del linguaggio classiccheggiante di Louis Kahn, come nel Cimitero Nuovo di Cascina, o di quello brutalista di Le Corbusier, come nella Scuola Media di Vecchiano, il discorso resta sempre lo stesso: lo spazio deve essere razionale e al contempo profondamente contestualizzato. Vivere in ambienti costruiti secondo ragione geometrica fa parte dell’eredità della ricerca rinascimentale, e questo si può apprezzare nelle impostazioni planimetriche delle architetture di Roberto Mariani, riducibili a composizioni di figure semplici, rettangoli, triangoli, circonferenze, e le loro derivate prime, ambienti in cui l’uomo può leggere e comprendere lo spazio istantaneamente, così come accadeva nelle basiliche del quattrocento. Il lavoro in sezione, invece, è libero da restrizioni geometriche, ma è legato alla pianta secondo rapporti di misure, minimo comune denominatore di tutta la gestazione spaziale di Mariani. I percorsi portano il visitare ad attraversare sequenze di strettoie che si dispiegano improvvisamente in doppi volumi, dove gli ambienti si susseguono con continui riferimenti e allineamenti reciproci, e il dialogo tra posizioni diverse dello stesso edificio è celebrato dal frequente utilizzo delle aperture circolari, dove gli spazi sono connessi visivamente e si invita ad apprezzare una vista particolare, come incorniciandola. Quest’ultima strategia vede la sua applicazione più riuscita nel Cimitero Nuovo di Cascina.

Un’altra questione particolarmente cara all’architetto pisano è lo studio dell’ingresso ai suoi progetti. L’arco di soluzioni adottate si riassume sotto la matrice comune di uno spazio introduttivo restringente, al disotto o al fianco del quale si cammina per avvicinarsi alla soglia, come un richiamo all’attenzione al visitatore che deve prepararsi all’ingresso.

 

 

Nelle opere di Mariani anche il tema della luce rappresenta un ambito in cui si presentano atteggiamenti ricorrenti: la luce è modulata attraverso soluzioni molteplici, dalle quasi onnipresenti mezzelune alle pareti vetrate, fino all’uso sistematico dei lucernari, e con un’attenzione particolare ai temi della feritoia e della strombatura, i quali concorrono verso un discorso più ampio, quello della propensione al lavoro verticale. Dalle aperture agli alti pilastri, passando per i tagli volumetrici sul paesaggio di approccio topologico, il tema della verticalità coinvolge ogni opera dell’architetto pisano. Questo risulta già evidente sui giochi degli allineamenti di facciata in entrambi gli interventi in corso Italia, il recupero della Corte di San Domenico e il recupero dell’area compresa fra corso Italia e via Titta Ruffo, dove Mariani, dovendo dialogare con gli edifici adiacenti, mantiene la scansio- ne verticale ma ne aumenta il respiro del ritmo, creandone uno nuovo orizzontale, secondo un processo che dilata spazialmente i due estremi di corso Italia. La variazione degli ordini denuncia un approccio espansivo allo spazio, dove le aperture servono per alleggerire la massa su cui si procede intagliando per sottrazione, superando qualsiasi costrizione di carattere tipologico. Nelle opere di Mariani l’accortezza verso la cultura materiale del luogo si risolve nella semplicità dei dettagli costruttivi, dove si svolge il confronto tra immaginari architettonici distanti nel tempo, facendo proprio il rinnovato impiego del laterizio nella seconda metà del novecento, sia per soluzioni compositive che strutturali. La tessitura muraria del mattone, infatti, permette di conseguire una continuità percettiva, dove le superfici piene, su cui sebbene siano applicati dei fori, hanno la capacità di funzionare come corpo unico e dialogare con la massività degli edifici storici secondo una monumentalità tutta moderna. Proprio in queste occasioni il mattone esprime le sue migliori qualità: impiegato senza interruzioni su superfici ampie, con murature che nascono da terra e proseguono in altezza, nascondendo il ritmo dei piani, acquisisce due modalità di lettura, una frontale, dove si legge la riformulazione degli ordini, e quella di scorcio, che permette all’edificio di funzionare come un volume compatto, un blocco di estensione urbana di cui vuole conservare l’autenticità. Paradigmatico ne è l’esempio del Polo didattico Giovanni Carmignani in piazza dei Cavalieri. Si noti, infine, come la costruzione degli spazi sia sottesa dal meccanismo della modularità. Mariani adopera una logica metrica che attraversa tutte le scale, dal dettaglio, si pensi al ricorrente uso mattone, la cui sovrapposizione dimensiona con esattezza le volumetrie, passando dalle componenti di uno stesso edifico, come si può apprezzare nel Cimitero di Cascina, in cui i blocchi propongono un pattern di espansione potenzialmente illimitato, fino alle Due Torri per Uffici nel Centro Direzionale a Cisanello, dove il modulo è stato riproposto alla scala urbana. La sensibilità principale dell’architetto pisano risulta, attraverso differenti veicoli di narrazione, quella della ricerca della misura, che si tratti di un fatto etico, come la moderatezza espressiva nella progettazione di spazi pubblici, di un fatto storico, come nel tentativo di far dialogare epoche diverse nella stessa opera, o come di un fatto compositivo, dal dettaglio all’urbanistica, dove la composizione, sottesa dalla robustezza della geometria, evoca il motivo toscano di una civiltà costruita da una misura razionale, una civiltà, quindi, a misura d’uomo.


Pubblicato in: Roberto Mariani Architetto, senza clamore e dissonanze, Pisa University Press, Pisa, 2016.