Nel 1979 la Biennale di Venezia commissionava ad Aldo Rossi quello che è rimasto da allora forse l’emblema della Biennale e del lavoro di Rossi stesso: il Teatro del Mondo, nome suggestivo e carico di valenze simboliche più o meno celate tra le righe di quello che in effetti è un manifesto di tutto un fare architettonico.

Costruito con la consapevolezza della sua natura temporanea, il Teatro fu realizzato con uno scheletro in tubi di acciaio facilmente montabile e smontabile, rivestito con un tavolato in legno, il tutto poggiato su una chiatta che permetteva all’opera di galleggiare sul Canale e di essere trasportata di sponda in sponda. Alto circa 25 metri, il corpo principale consisteva in un prisma a base quadrata di circa 9,5 metri di lato, per un’altezza di 11 metri, che poteva ospitare fino a 400 persone. Accostati a questo prisma, due vani scala simmetricamente disposti si innalzavano per circa due metri più in alto rispetto al corpo centrale; a coprire quest’ultimo si trovava un padiglione con falde in zinco impostato sul tamburo ottagonale, piano ‘attico’ del Teatro circondato da una terrazza perimetrale. Sul colmo del padiglione una sfera e una bandierina triangolare chiudevano il tutto.

Illustrazione di Fabio Santaniello Bruun

 

Il teatro è un particolare oggetto architettonico con una duplice essenza. In prima istanza si configura come spazio progettato funzionalmente ad accogliere una più o meno vasta platea di persone e parallelamente a ottimizzare la messa in scena dello spettacolo da parte degli attori; questo ha un’altezza e locali tecnici adeguatamente proporzionati agli spettatori, impianti tecnologici e meccanici all’avanguardia, materiali e oggetti illuminanti perfezionati per un’ottima visione dello spettacolo. Niente di diverso da una scuola, un ufficio postale o una sala da the: alla funzione risponde una forma, qualificata dal punto di vista estetico ed esperienziale o scarno esempio di “edilizia” da manualetto.

È la seconda anima del teatro quella che lo configura come metaspazio, testo del patto che gli spettatori firmano con gli attori, patto che è il corrispettivo di quello narrativo che si instaura leggendo un romanzo. Varcata la porta del teatro e preso posto nella poltrona, le luci si affievoliscono, «l’architettura finisce e inizia il mondo dell’immaginazione».

Illustrazione di Fabio Santaniello Bruun

 

Se duplice quindi è l’istanza dell’oggetto-teatro, quella architettonica e quella metaspaziale, Rossi carica il suo Teatro di una terza valenza, quella dell’effimero. Nato dalla schiuma dell’acqua torbida della laguna, il Teatro del Mondo è stato la materializzazione attualizzata di una tipologia che Aldo Rossi ha gentilmente richiamato dal piedistallo extratemporale su cui viaggiava: facendole subire la gravitazione temporale del presente storico e la deformazione di una lettura estremamente personale, l’Architetto ha declinato il tipo-teatrino settecentesco in un modello figlio del tempo e del luogo in cui si è incarnato. Così nasceva un’architettura galleggiante, un volume che si collocava «secondo la forma dei movimenti veneziani», necessariamente sull’acqua e conseguentemente mobile, avendo «uno spazio usabile preciso anche se non precisato». Se il luogo dell’opera era in continuo movimento, altrimenti non poteva esserne il tempo, limitato, evanescente, indefinito. Il tempo di un amore di mezza estate, di una stagione febbrile e incerta, segnata dallo scoccare dell’autunno. Temporaneo era il teatrino settecentesco, impalcato di assi di legno rivestito di stucchi boriosi e leggeri, temporaneo fu il Teatro, un attimo a Venezia e quello dopo in rotta verso le coste albanesi.

Così come è iniziato, il Teatro è finito: dai ricordi e nei ricordi. È stato un portale che attraverso sé permetteva di saggiare un tempo e uno spazio paralleli, quelli dell’opera rappresentata. Ma, a sua volta, esso stesso è passato attraverso una soglia temporale: un oggetto calatosi nel presente storico per un breve periodo a dar corpo all’idea extratemporale di teatrino carnevalesco, vestito della maschera che Aldo Rossi gli ha sapientemente confezionato.

 


Bibliografia e Sitografia