Federico Biancullo


Federico Biancullo è autore del blog di visualizzazione e rappresentazione architettonica CTRL+Z e attualmente lavora come architectural visualizer a Rotterdam per Mecanoo. Chi meglio di lui può svelarci la chiave di un buon render? In casa 120g siamo molto interessati all’argomento, ecco il saggio che ha scritto per noi!

Chi si avvicina per la prima volta al mondo della visualizzazione architettonica cade inevitabilmente vittima di un equivoco fin troppo diffuso. Siamo portati a credere che per ottenere un’immagine di buona qualità sia essenziale trovare i parametri giusti, quei numerini magici che, se inseriti nelle caselle giuste dell’interfaccia del motore di rendering, saranno in grado di restituire un risultato che ci soddisfi. Questa concezione errata, spesso radicata anche a livello professionale negli studi di architettura, ha il suo humus nelle università, nell’essere costretti ad acquisire la padronanza degli strumenti tecnici (in questo caso il motore di rendering), senza una didattica adeguata.

In realtà è sempre stato vero l’opposto, e lo è ancora di più in questo preciso momento storico. Basti guardare alle ultime release di V-Ray e a Corona, il motore di render che più di ogni altro si sta imponendo come alternativa nell’industria della visualizzazione architettonica: gli sviluppatori dei motori di rendering stanno mirando come mai prima d’ora a semplificare l’interfaccia e l’aspetto tecnico quanto più possibile, consentendo al visualizer di concentrarsi piuttosto sul processo creativo che sta dietro ad un’immagine.

La necessità di spostare l’attenzione sul processo creativo, tuttavia, non è cosa recente. Già nel “lontano” 2012, Ciro Sannino, attraverso il suo blog e le sue pubblicazioni, tracciava le linee guida di un workflow orientato a evidenziare l’importanza degli aspetti artistici dell’immagine, e questa tendenza è oggi più forte che mai. Tali aspetti sono indissolubilmente legati al mondo della fotografia e delle arti visive. L’analogia con la fotografia e l’interpretazione della realtàI punti di contatto tra visualizzazione architettonica e fotografia sono molto più numerosi di quelli che si potrebbero rilevare dopo una prima analisi superficiale, e riguardano sia gli aspetti tecnici che i valori artistici di un’immagine. L’analogia tecnica è evidente soprattutto agli utenti di 3D Studio Max, Maya e Cinema 4D, già abituati ad usare un sistema di camere per le proprie inquadrature. I parametri che ne regolano il funzionamento, sebbene possano disorientare e confondere l’utente meno smaliziato, sono pressappoco gli stessi che è possibile trovare su qualsiasi fotocamera digitale; la differenza sta nel fatto che la camera del software è una fotocamera virtuale, per la quale non valgono le limitazioni imposte dalla DSLR. Ad esempio, la fotocamera virtuale non è soggetta al deterioramento dell’immagine che deriva dall’innalzamento degli ISO, non soffre di problemi di sfocatura dovuti a scatti realizzati senza treppiede e consente una flessibilità assoluta in termini di focale, permettendo addirittura di ottenere prospettive identiche a quelle realizzate con un obiettivo tilt-shift. È dunque possibile applicare i concetti tecnici della fotografia direttamente alle immagini in computer grafica, e includerli quindi nel processo creativo. I motori di rendering ci danno addirittura la possibilità di applicare alle nostre immagini le stesse tecniche che in fotografia sono il risultato dei limiti fisici dell’obiettivo e delle lenti ottiche, come, ad esempio, sfocature di profondità, vignettature o effetto bokeh. Tuttavia, ciò che davvero conta è il processo creativo che sta alla base di un render: definire l’idea di fondo e seguire un progetto per le proprie immagini. Ed è proprio in questo che possiamo ritrovare la seconda, e forse la più importante analogia con il mondo delle arti visive: quella di tipo artistico e comunicativo.

Così come avviene nella fotografia, anche nella visualizzazione architettonica la tecnica non è il fine, ma piuttosto il mezzo attraverso cui plasmare la propria visione. La qualità di un render non è mai determinata esclusivamente dal una semplice combinazione di parametri tecnici e, nella maggior parte dei casi, non va confusa col fotorealismo. Sebbene ricercare l’imitazione della realtà sia il metodo migliore per acquisire una solida padronanza degli strumenti tecnici che il motore ci mette a disposizione, il fotorealismo non è sempre un metro di giudizio attendibile al fine di valutare la qualità di un render.

L’approccio fotorealistico rimane comunque la strada maestra nel caso di render destinati al settore immobiliare o al product design; nei render architettonici, invece, si tende a preferire immagini che mantengano una certa aderenza alla realtà, pur presentando elementi concettuali e atmosfere molto marcate, che siano in grado di comunicare un’emozione, oltre alle caratteristiche del progetto.La differenza principale tra fotografia e visualizzazione architettonica risiede nel fatto che il visualizer ha la possibilità di plasmare a suo piacimento fattori creativi, come la luce ambientale e il mood dell’immagine: parametri, che nella maggior parte dei casi, un fotografo difficilmente ha sotto controllo. Questa libertà assoluta spesso porta i meno esperti a perdersi nel processo creativo, finendo per sperimentare soluzioni e approcci diversi, senza comprendere innanzitutto a quale risultato si voglia approdare. E quindi se, come avviene in fotografia, un’istantanea difficilmente risulterà essere una buona immagine, un render realizzato senza un’adeguata pianificazione, senza un’idea del risultato da raggiungere e senza una raccolta di riferimenti, risulterà essere un’immagine in computer grafica come tante altre. Meno deviazioni e cambiamenti rispetto al piano originale avverranno durante la produzione dell’immagine, migliore sarà il risultato finale e più spedito procederà il workflow. Quindi, prima di iniziare il lavoro sulle proprie immagini, è necessario tracciare la strada maestra, cercando dei riferimenti fotografici adeguati e, successivamente, fissando alcuni elementi artistici fondamentali per la buona riuscita di un render. Le fondamenta di un’immagine di progetto. Il primo elemento artistico da fissare durante il processo di sviluppo di un render è la composizione della scena. Accade talvolta che quest’aspetto venga sacrificato per soddisfare le richieste della committenza e far fronte alla necessità di mostrare quanto più possibile con una singola immagine. Quando tali esigenze non vengono filtrate dalla conoscenza e dall’esperienza del visualizer, il rischio è quello di ottenere immagini funzionali ma poco piacevoli da fruire, contraddistinte da inquadrature distorte (dovute a lunghezze focali improbabili) e punti di vista completamente sbilanciati. La fotografia si avvale di regole compositive ormai acquisite e consolidate nella pratica, che richiederebbero un articolo a sé stante per essere esplorate e spiegate al meglio. Fortunatamente, sul web le risorse sull’argomento sono ricche e dettagliate; per chi si avvicina per la prima volta ai principi di composizione dell’immagine, questo tutorial di Blender Guru costituisce un’ottima base di partenza. Creare una composizione ben strutturata, tuttavia, non significa soltanto scegliere un’inquadratura applicando alla lettera delle regole, ma significa anche garantire una sorta di equilibrio visivo che, attraverso la presenza di riferimenti grafici, oggetti, figure umane e punti di colore, diriga l’attenzione nel modo giusto: una buona composizione conduce l’osservatore nella lettura dell’immagine attraverso una sorta di loop che colleghi i contenuti più importanti.Infine, determinare fin dall’inizio il punto di vista comporta anche un vantaggio tecnico, ossia la possibilità di concentrare la maggior parte del lavoro di modellazione 3D soltanto nell’area ripresa dalla camera.

Una volta stabilita la composizione dell’immagine, si passa allo studio delle condizioni di luce. In prima battuta, è necessario determinare le caratteristiche da conferire alla luce naturale e capire come utilizzare gli strumenti offerti dal motore di rendering per riprodurre un determinato tipo di illuminazione. In particolare, la prima decisione ricade sulla scelta del mezzo tramite cui simulare la luce ambientale. Questo può essere un sole virtuale che produca ombre dirette, oppure una luce basata su fotografie a 360 gradi che simulino particolari condizioni di luce (la cosiddetta tecnica dell’ image based lighting), come un tramonto, una giornata nuvolosa o addirittura un orario notturno. Seppur presentati con nomi diversi, questi strumenti sono comuni a tutti i motori di rendering. Stabilito quale sarà il contributo della luce naturale, si procede a sviluppare il progetto dell’illuminazione artificiale. Anche in questo caso, analizzare casi studio reali ed espedienti della fotografia di architettura permetterà di sviluppare un’illuminazione che esalti gli spazi. Di norma, un’illuminazione di tipo frontale (con luce parallela al piano della fotocamera) sarebbe da evitare, poiché annulla completamente le ombre e la profondità degli spazi. La chiave per realizzare una buona illuminazione artificiale sta nello stabilire una gerarchia di luci: quali sorgenti illumineranno la scena in maniera predominante, creando luci ed ombre molto contrastate? Quali sorgenti, invece, smorzeranno le ombre più intense?Quali che siano le condizioni di luce, esse dovranno risultare sempre coerenti, in ogni parte dell’immagine. Non è raro che il cliente proponga di modificare l’illuminazione in post-produzione, allo scopo di rischiarare una particolare area del render a sua detta “troppo scura” (clienti e architetti sono apparentemente molto spaventati dai chiaroscuri troppo esacerbati): queste richieste sono da valutare caso per caso, per comprendere se il dare luminosità a una determinata parte dell’immagine si traduca in un risultato che è ancora coerente con l’illuminazione della scena, oppure se magari sia il caso di fare un passo indietro e rivedere il progetto delle luci nel modello 3D.

L’elemento più difficile da incorporare, in quanto si lega a doppio filo coi due fattori precedenti, è l’atmosfera dell’immagine. Tra i fattori elencati finora, il mood è il più difficile da definire, essendo anche frutto delle decisioni prese fino a questo momento: determinate composizioni possono suggerire un senso di calma e staticità, altre sono più indicate per esaltare il dinamismo di una scena. Allo stesso modo, la luce utilizzata nella scena, in particolar modo la sua temperatura di colore (altro concetto trasposto direttamente dalla fotografia ai motori di rendering), influenza in modo decisivo la palette cromatica di un’immagine. Queste scelte, che già di per sé contribuiscono a indirizzare fortemente l’atmosfera dell’immagine, vengono filtrate da una visione personale della realtà, soprattutto attraverso la post-produzione. Regolando i toni cromatici e l’illuminazione, e aggiungendo dettagli ed effetti ambientali, il visualizer imprime il tocco finale al proprio lavoro. In quest’ottica, se volessimo prendere come riferimento l’universo delle arti visive, costruire un’atmosfera significa dare un’interpretazione personale della realtà virtuale prodotta dal motore di rendering.

Come un novello Turner o un Monet in erba, il visualizer esperto è in grado di sacrificare parzialmente l’aderenza alla realtà per creare un’atmosfera memorabile, senza però intaccare la credibilità di un’immagine. Ed è forse questo il compito più difficile: costruire un mood che porti la firma inconfondibile dell’autore, attraverso la ricerca di un proprio stile. Una ricerca che può durare anche anni: esattamente come avviene, è avvenuto e avverrà per generazioni e generazioni di artisti. Arrivederci sul mio blog!