Dall’inebriante centro di Oporto ci vogliono circa quaranta minuti di autobus per raggiungere Matosinhos, periferia turistico-funzionale della città lusitana che corre lungo la Leça da Palmeira. Il tipico gusto portoghese per l’essenzialità nella forma dell’espressione pare non appartenere all’atteggiamento edilizio della periferia portuense, punteggiata di abusi e residui di una superficialità diffusa che poco s’addice ai sapori dolci e ricercati dei maestri della scuola d’architettura più educata del Novecento occidentale. Il percorso verso l’oceano è una breve fuga dal frastuono della zona industriale, attraverso la modesta edilizia residenziale pre-marina, fino alla spiaggia.

I primi di Marzo la prima cosa ad accoglierti è il vento. Non ci vuole un attimo che, superati gli ultimi edifici, ci si affaccia sull’immensità dell’atlantico verso ponente accolti da raffiche capaci di stemperare lo scoglio più appuntito. La spiaggia ci accoglie vuota, il mare è un frastuono assordante di onde mozzafiato che risalgono il piatto bagnasciuga per decine di metri, o si schiantano contro scogli terribilmente inospitali, come non se ne vedono altrove. Quasi per sbaglio, all’improvviso, alla scostante distribuzione astiosa si accompagna un muro ben cadenzato, morbido, un veloce gesto divide due territori e crea inevitabilmente uno spazio. Pochi passi e un secondo segno, questa volta più forte, mi impone di fermarmi appresso uno sbalzo considerevole. Sono le due piscine di Siza che mi colgono alla sprovvista, apparse in un attimo in un luogo dove pare siano sempre state. L’intervento è poco più che qualche muro di cemento ingiallito, un solitario residuo di una estenuante lotta persa contro l’incessante esplodere dell’oceano, ma d’un tratto il tempo si ferma.
Il cielo è di un perfetto colore azzurro, non una nuvola ne disturba la silenziosa perfezione, il sole è poco sopra l’orizzonte, la natura domina incontrastata. Ma dello spazio è padrone l’architetto portoghese. Pochi gesti sapienti, un disegno elegante ed essenziale, i gradini che spuntano dalle rocce, il muro che ne delimita una porzione, l’ombra netta che si staglia sulla superficie uniforme e di colpo la realtà si fa metafisica. Le piscine sono vuote, contribuiscono al perfetto stato di estraniazione, e lo spazio si esperisce nella sua essenza, scevro da suppellettili, splendido nella sua semplice nudità. Il rimbombo diventa silenzio, il calcestruzzo si ammorbidisce, e i pochi muri si fanno i perfetti compagni del tuo personale momento.
È facile integrare quest’opera nella straordinaria produzione di Siza, la semplicità, la chiarezza, la perfetta armonia col contesto; più interessante è stato però viverla. Una serie di condizioni particolari quali l’atmosfera, il clima, la compagnia, l’orario, il periodo dell’anno hanno inciso sulla specificità del momento rendendolo unico. Per questo è derivata la sensazione di un ambiente fuori dal tempo, finito in se stesso, essenziale nel suo contesto, una combinazione irripetibile, sempre diversa, ma sempre presente di circostanze che sono sicuro appartenga a chiunque proceda, distratto o diretto, verso le piscine delle maree.