Antonio M. Zenzaro


Lo spazio scenico è necessario per codificare la diegesi nell’opera cinematografica ma non per Alfred Hitchcock. Il cineasta inglese, nel corso della sua lunghissima filmografia, ha elevato il proscenio a parte generatrice dell’azione; le architetture dei suoi film non sono semplici contenitori ma la creazione di mondi perfettamente codificati, come Dio e il suo universo. Uno scarto decisivo sull’aspetto architettonico, eccelso grazie a ingenti budget produttivi, è evidente nel periodo hollywoodiano di Hitch.

Il delitto perfetto (Dial M for Murder, 1954) non solo segna l’inizio della collaborazione con Grace Kelly ma vede l’azione concentrarsi quasi interamente in un solo edificio. Hitchcock predispose che il film si svolgesse esclusivamente all’interno della casa londinese dei protagonisti. Il salotto firmato da George James Hopkins è il set delle discussioni della coppia, dell’omicidio e dell’arresto finale del colpevole. Un ruolo fondamentale è giocato dalla tenda sul giardino interno che permette di accrescere, a piacimento del regista, la suspence nei momenti particolarmente ansiogeni.

La scena tensiva per eccellenza del remake de L’uomo che sapeva troppo (The Man Who Knew Too Much, 1956) si svolge all’interno della Royal Albert Hall di Londra. La struttura circolare della sala concerti, la preferita dalla regina d’Inghilterra, diventa lo spazio perfetto per dilatare il tempo. Nella sequenza d’inseguimento, tra le poltrone di velluto, la scena è ripresa da più punti per permettere al regista di costruire la suspence mettendo in relazione i volti di James Stewart, Doris Day, il killer e i membri dell’orchestra. Infatti, grazie allo spazio dell’azione, Hitchcock rende il tempo del racconto più lungo rispetto a quello reale della storia.

 

La donna che visse due volte (Vertigo, 1958)

 

La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) è considerato la punta di diamante della filmografia hitchcockiana. Il tema della vertigine è declinato attraverso una serie di oggetti architettonici chiave che si ripetono continuamente. In primis, quasi all’inizio del film, il Golden Gate Bridge fa da sfondo al primo tentato suicidio di Madeleine; il celeberrimo ponte di San Francisco si fa portatore del sentimento mortifero che invaderà la pellicola. I tetti, le grondaie e soprattutto le scale diventeranno la fobia più grande del protagonista del film. Il personaggio di Scottie si troverà più volte davanti a questi elementi e nella sequenza finale nella torre campanaria il sentimento di vertigine sarà decisivo difronte all’emblema architettonico.

Intrigo internazionale (North by Northwest, 1958) è un film girato quasi totalmente in esterni; in questo caso, Hitchcock non rinuncia a inserire elementi architettonici di rilievo per puro gusto estetico e per movimentare ulteriormente la narrazione. In quest’opera è possibile ammirare una riproduzione fedelissima, sia esternamente sia negli arredi interni, della Casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright; la famiglia Kaufman, proprietaria dell’edificio originale, non concesse l’autorizzazione per le riprese. Non solo, Hitchcock collocò la casa del famoso architetto americano quasi a ridosso del Monumento nazionale del monte Rushmore per acuire il rapporto tra architettura, natura e spazio in funzione del linguaggio del cinema.

 

Psycho (1960)

 

Psycho (1960) è un altro caso illustre in cui le architetture giocano un ruolo da protagoniste al pari degli attori. Dopo l’arrivo di Marion al Motel Bates, la pellicola si snoda solo fra le stanze del modesto albergo e la casa sulla collina di proprietà dello psicopatico Norman. Il motel dalle prime inquadrature è descritto come luogo d’inquietudine e mistero; l’assenza di ospiti, gli animali impagliati e il suo proprietario, lo rende il luogo perfetto per l’omicidio che si consumerà a metà film. Allo stesso tempo, la casa vittoriana sulla collina è disegnata per essere il luogo dell’origine del male che affligge il protagonista; austera, solitaria e inquadrata sempre dal basso, sono caratteristiche che permettono di conferire al luogo quasi un sentimento di totale autonomia che la rende viva e capace di plasmare chi vi abita.

 

Gli uccelli (The Birds, 1963)

 

La piccola cittadina di Bodega Bay, in cui è ambientato il testamento del regista Gli uccelli (The Birds, 1963), è pensata da Hitchcock come un universo assestante. La costa sarà invasa da una forza divina e apocalittica, attraverso un attacco violento di volatili, in cui lo spazio assume un ruolo fondamentale. Il film è pensato, dal punto di vista scenico, per essere giocato tutto sulle opposizioni dei luoghi; quella che appare come la più evidente è la contrapposizione fra dentro e fuori. Infatti, gli edifici rappresentano i soli luoghi sicuri dagli attacchi degli uccelli: il caffè Tidals, la scuola e casa Brenner diventano veri protagonisti per la sicurezza della collettività, luoghi destinati ad avere una forza intrinseca capace di proteggere gli uomini.

 

La finestra sul cortile (Rear Window, 1954)

 

Un caso a parte è costituito da La finestra sul cortile (Rear Window, 1954). Il film in questione rappresenta l’emblema dello spazio che conduce la narrazione. L’opera più meta-cinematografica di Alfred Hitchcock è girata tutta da un unico punto di vista: quello del fotoreporter Jeff. Oltre a un uso smodato della soggettiva, il regista inquadra tutte le scene dall’appartamento del fotografo su un cortile interno del Greenwich Village di New York. Per l’occasione fu allestito il più grande set cinematografico, fino a quel momento, da parte della Paramount. L’intento di Hitchcock era di ricostruire in studio la tipica casa americana, anonima e ripetitiva; in questo modo l’architettura diventa contenitore sociale e la geografia urbana si fa spettacolo.