La discussione sul periurbano parte dalla necessità di dare un inquadramento a questo fenomeno dai connotati sfaccettati: una definizione può essere quella di territorio confine tra zona urbanizzata e territorio non costruito, agricolo, incolto o boschivo, una fascia di spessore variabile che circonda la zona urbana ed entro la quale si manifesta un gradiente tra pieni e vuoti, tra edificato e non; una zona dove l’organizzazione e la fruibilità degli spazi destinati ad uno o all’altro indirizzo sono assenti, perdendosi le qualità sia della zona urbana, sia della zona rurale.

La zona periurbana infatti risulta spesso una fascia a gemmazione spontanea, o comunque organizzata su piani regolatori poco adatti al territorio e ereditati da una legislazione vetusta e sempre più palesemente inadatta a modellare in modo coerente e funzionale il territorio; questo comporta la semicasuale distribuzione di costruito e non-costruito, eredità del sistema di case coloniche–campi coltivati, fattorie–proprietà terriere, che ha condotto ad un sistema di infrastrutture viarie articolate e dispersive, e senza infrastrutture sufficienti. Al contempo, per i metodi produttivi moderni, la distribuzione frammentaria di fazzoletti di terreno agricolo rendono difficile lo spostamento dei macchinari agricoli e un’efficiente organizzazione delle coltivazioni, lasciando ovunque zone in stato di abbandono, incolte e senza qualità: i non luoghi augeiani, tutt’altro che considerabili come verde pubblico.

 

© Photo by Yann Arthus-Bertrand, Altitude

 

Se le manifestazioni della periurbanizzazione sono estremamente diverse tra loro, è possibile però rintracciare qualche regolarità nel processo di formazione dei comuni periurbani. In seguito all’esodo demografico delle campagne, la cui durata e intensità è stata variabile, ma che rappresenta un fenomeno generalizzato fino agli anni ‘60 nel nostro paese, la tendenza si è invertita e ha visto l’arrivo in queste stesse zone di una nuova popolazione di origine cittadina e conseguentemente l’aumento delle richieste di alloggi, che venne ben accolto sia dai costruttori che dai proprietari terrieri come mezzo per far rivivere questi comuni.

Tutto ciò avviene nel momento in cui le famiglie italiane riescono ad avere maggiori disponibilità economiche. L’esodo dalle campagne è considerato come la prima fase del processo di periurbanizzazione, a cui seguirono l’urbanizzazione delle campagne, per arrivare infine, in alcuni casi, alla nascita della città diffusa. Il passaggio dall’urbanizzazione diffusa alla città diffusa, come ci spiega Indovina, non è matematico, ma si realizza solo talvolta, quando accanto a villette e capannoni industriali iniziano a sorgere servizi e attività commerciali (centri commerciali, multisala, centri fitness), che fanno in modo che questa forma urbana simuli il funzionamento della città compatta, ma collocandosi su di una superficie molto più estesa. La tappa successiva, secondo Indovina è quella dell’arcipelago metropolitano, che si caratterizza per la diffusione di tutti quei servizi di prestigio che tradizionalmente erano collocati all’interno della città centrale.

L’urbanizzazione che ne risulta assume forme variabili, ma in tutti i casi il valore aggiunto che ne deriva è per lo più privato che di tipo collettivo. Il passo successivo, immediato, a questa crescita di tipo quantitativo è quello della definizione di un nuovo equilibrio che per i nuovi residenti si instaura tra la necessità — vogliamola chiamare egoista, perché altro non è —  di voler mantenere il contatto diretto ed esclusivo con la nauta “incontaminata” che tanto hanno faticato per ottenere, facendo fermare la crescita all’interno del proprio comune di residenza, ed al contempo la volontà di un’ulteriore crescita dell’abitato che richiami a sé quelle infrastrutture necessarie e basilari che aumenterebbero la qualità della vita — la comodità —, ma che necessitano di un certo bacino di utenza per essere sostenuti. J.C. Castel ci aiuta a definire il fenomeno con l’espressione “sindrome dell’ultimo arrivo”. Tale sindrome racchiuderebbe in sé la volontà di continuare a godere dell’ambiente che si è “acquistato” a scapito degli avventori.

Si genera cioè un’oscillazione tra il voler mantenere lo status quo e il favorire un’ulteriore crescita per raggiungere la taglia di popolazione ideale allo sviluppo di determinati servizi: sono proprio questi servizi infatti, in primo luogo quelli scolastici, a segnare la differenza rispetto a un comune dormitorio dove non succede nulla tutto il giorno.

Quando i comuni più vicini al polo centrale raggiungono una certa saturazione e una situazione di maturità, le leggi di mercato affermano che se la domanda residenziale continua a crescere senza che l’offerta riesca a starci al passo, l’esito inevitabile è un aumento dei prezzi delle abitazioni e il ripiegamento della domanda verso comuni più distanti, disponibili a consegnare terreni per l’urbanizzazione e a intraprendere così con le prime fasi del processo di periurbanizzazione.

Risulta davvero interessante che questo concetto non solo si evince dalla letteratura o da sole disquisizioni nate dallo studio del fenomeno, ma si riscontrano nella vita vera di chi questi luoghi li abita: riportiamo in seguito una citazione tratta dall’articolo di Mitchell pubblicato sul National Geographic americano, dove un contadino racconta la sua esperienza personale dello sprawl, il fenomeno periurbano ‘per eccellenza’ estremamente diffuso negli Stati Uniti.

«And what I find so ironic is that all these people who live here [nelle zone cedute dall’agricoltura allo sprawl] look out their back windows and see this fine old farmstead. When I’m out there on the tractor, the subdivision kids are hanging over their fences, watching me. And you know what their parents say to the people who own that farm? They say, ‘You’re not going to sell it for development, are you? Are you?’»

 

Un fotoreportage interessante.


Castel J.C., De l’étalement urbain à l’émiettement urbain, in Les Annales de la Recherche Urbaine 102, 2007
Indovina F., Dalla città diffusa all’arcipelago metropolitano, Franco Angeli Edizioni, 2009
Mitchell J. G., Urban sprawl, Republished from the pages of National Geographic magazine, http://environment.nationalgeographic.com/environment/habitats/urban-sprawl/
Molinari M., La città che cambia: la diffusione urbana. Mobilità residenziale e stili di vita emergenti nel Comune di Argelato (Bologna), Tesi di Dottorato di Ricerca in Sociologia, Coordinatore prof. Ivo Colozzi, Relatore prof. Giovanni Pieretti, 2012
© Photo by Yann Arthus-Bertrand, Altitude