Giulia Giambrone


“Prototypology–An Index of Process and Mutation” è il titolo della nuova mostra nella galleria romana di Larry Gagosian. Alla constatazione visiva della quasi sempre perfezione espositiva dovuta agli ambienti, immancabilmente adeguati dal punto di vista architettonico ad accogliere qualsiasi opera d’arte contemporanea e non, si aggiunge tuttavia la percezione — estremamente positiva nel paradosso-di un luogo sovraccarico, prima che di opere, di oggetti-idee. La mostra rispecchia il caos geniale tipico della sorgente progettuale dell’ideazione artistica e in questo appare pienamente in forma con gli intenti curatoriali.

Il concetto di base dell’esposizione — nelle sue varie diramazioni — è infatti il progetto, lo studio, o meglio il prototipo (molti dei lavori appartengono ad artisti che operano tramite installazioni su scala ambientale). Trenta artisti, per un totale di cinquantuno prototipi/studio differenti, restituiscono all’osservatore il carattere di diversità in un universo mentale alla cui base troviamo l’Idea. Ritorna quindi per rinascere nuovamente e mostrarsi in tutta la sua contemporaneità la valenza dell’idea come atto in potenza, propulsore della creatività, riportando così in auge l’ideologia avanguardistica, in particolar modo duchampiana. La mostra si articola nei due livelli della galleria: al primo come d’abitudine, troviamo un’opera introduttiva, quella di Arcangelo Sassolino, macroscopic and domestic (prototype) del 2010: un meccanismo ai limiti dell’ideazione ingegneristica basato sul funzionamento di un sistema pneumatico. Al secondo livello una teca con i progetti di Robert Therrien immette l’osservatore nell’esempio magistrale di prototipo. No title (oil can) (2003) è un oggetto di acciaio inossidabile che rievoca forme archetipiche della quotidianità in linea con l’estetica del design dell’every day life. Sulla destra troviamo invece alcuni sketches di Takashi Murakami in cui il sovraffollamento delle figure e delle forme riflette a pieno un mondo subalterno a quello reale alimentato dall’immaginario tradizionale del fumetto giapponese.​

 

 

Nella sala ovale invece si apre una tassonomia di idee messe in forma, plasmate attraverso modelli e prototipi in tutta la loro fisicità. Chris Burden, Giuseppe Penone, Claes Oldenburg, Dan Graham, Michael Heizer, Cy Twombly tra gli altri. Sulla parete di fondo la fotografia in scala di grigi di Rudolf Stingel Untitled (Instruction)è l’emblema di tutta la mostra: una mano intenta a frullare dentro un contenitore una matrice dalla natura indefinibile. Sul piano sul quale poggia il recipiente un piccolo tubetto di colore. È la poetica della creazione che passa attraverso la nozione classica e penetra nell’attualità, esplicandosi nelle vesti di un’immagine riconducibile all’effettività degli oggetti pop di oggi. O ancora The Shapes Project:Shapes Spinoffs di Allan McCollum (2005–2014): oggetti informi simulano il processo di derivazione nella gestazione di forme dissimili nell’apparenza, a detta delle singole variazioni che le distinguono, ma simili nella rappresentazione mentale della fonte creatrice. La mostra soddisfa sì gli intenti espositivi — sia tecnici che ideologici — ma al contempo congiunge alla narrazione intorno al prototipo anche quella riguardo la tendenza di un’arte della sovrappopolazione–riproduzione che si fa patologica e ingloba ibridi dai quali l’opera trae infine la sua completezza.​

 

 

La moltitudine giustifica l’auto generazione incontrollata delle forme sotto l’impulso della mano che plasma e della mente che pensa. La spiegazione è da ricercare nell’accrescimento inarrestabile della molteplicità del medium oggi e nella rispettiva fusione in vista unicamente del raggiungimento dell’attuazione dell’idea. Per questo l’esposizione riflette la condizione dell’arte nella contemporaneità dell’iper-disponibilità dei mezzi e quindi della variegata elaborazione delle idee che essi veicolano. In sintesi è come se l’idea innescasse un processo inarrestabile che si fa auto generativo grazie alla pluralità dei linguaggi utilizzabili oggi. La tendenza a una riproduzione/rappresentazione febbrile dell’idea diventa una necessità/bisogno, ravvisabile in una forma di patologia dell’arte del presente, non per questo esclusivamente portatrice del carattere di negatività che la parola patologia possiede in sé. Tuttavia i sintomi si avvertono e la comunicazione sinestetica può rimanere sospesa — a volte assente — sostituita dall’apparente atrofia dei sensi in favore della razionalità di pensiero che la comprensione di ogni progetto richiede. Causa plausibile è la techné imperante insita nella natura del progetto. Cercarne la conferma è il rischio da correre.

 


Fino al 5 Marzo da Gagosian Gallery a Roma un mostra sul tema del prototipo nell’arte.